Pagine

Visualizzazioni totali

sabato 20 dicembre 2014

Dicembre a Liegi

Vivi in nord Europa se la parola vin chaud ti fa venire in mente gente, lampade a fungo per scaldare, tavolini alti, tartiflette, vino caldo, amaretto, pain saucisse, mercatini e altre meraviglie. Vivere in nord europa, da inizio dicembre a Natale, è magico.

 Con il primo week end di dicembre si aprono i mercatini di Natale, ogni città, e quasi tutti i paesini limitrofi, ne hanno uno. La parola d'ordine è convivialità, e vin chaud :) se non vi piace il vino rosso..ci sarà quello bianco, se non vi piace il vino tout court, allora c'é la birra, la grimbergen d'inverno, la Leffe de Noël, se non vi piace nessuno dei due...CHE DIAVOLO CI FATE QUA??

Quest'anno avrei tranquillamente potuto far la carta fedeltà ai mercatini: tartiflette (patate, formaggio e pancetta in un mix che uccide), pane e salsiccia, crêpes, gaufres, champignons, aromi di francia, formaggi della Svizzera..c'é tutto, semplicemente.

Un bicchierino di vin chaud di solito oscilla tra i 2.50 ed i 3.00€, con l'amaretto di solito resta sui 3.00€. Il bello non è in fondo, il vino in sé, ma il clima che si crea.

Fa freddo qua, da un due mesetti direi, non freddo come gli anni precedenti (mi sarò forse abituata?) ma un freddo che ti invoglia a stare a casa, sotto la copertina. Eppure per i mercatini escon tutti, intabarrati come omini michelin, escono, e sfidano il vento gelido per condividere un mini spazio su un tavolino e bersi un bicchierino di vinello caldo.

Tutti insieme, alla faccia della discrezione e riservatezza nordica. Tutti con i pomelli rossi, teste bionde, cappelli, sciarpe, si vede di tutto, nessuno elegantissimo, a parte poche eccezioni, ma tutti belli. Studenti, coppiette, gruppi di amici, colleghi, famiglie, vecchi, giovani, il natale vero qua inizia 25 giorni prima, attorno a un tavolo.

"Merci, pardon", "il y a une place?", "est-ce que je peux?", buonumore e serenità son le parole d'ordine, e tutti trovano il tempo di festeggiare.

 Se mi si chiedesse cos'é il natale, dopo 4 anni qua, direi che è questo. 25 giorni di buonumore, freddo, vino, sorrisi, nasi rossi, chiacchierate e tournées (pagare un bicchiere a tutti gli amici che son li). Basta in fondo poco per fare natale.

E per non dimenticarmene, mi porto un pò di Belgio a casa, birra e cioccolato, il regalo DOC dell'expat, per far gustare a chi non l'ha visto, il sapore del natale al nord.

domenica 23 novembre 2014

Gli scheletri nell'armadio

Non c'é niente di peggio di quelli sicuri di sé. Mi spaventano a morte. Quelli che "te la spiego io la vita". ecco quelli poi mi fan sentire una sbarbatella in mezzo a un bosco pieno di lupi.
Come si fa a sapere cosa è bene fare e cosa no? Chi ce lo spiega?
è come all'università, salti una lezione, arrivi la volta dopo e gli altri sanno cose che tu non sai, e nessuno si prende la briga di spiegartele.
Ecco, per me ora, è esattamente cosi. C'é sicuramente una lezione che mi son persa: la lezione su come scegliere cosa fare una volta per tutte e non tornare indietro.
Poi però mi fermo a riflettere: siam 7 miliardi sulla terra, sarò mica l'unica a non sapere prendere una decisione una volta per tutte. Non si tratta di scegliere e basta, perché quello lo faccio, spesso, a volte anche in modo troppo impulsivo, si tratta per lo più di capire cosa voglio davvero.
Il soggetto di discussione più vecchio del mondo, dopo la scelta della cena.
Ho una vita, concretamente, una manciata di anni, che ora, a 28 anni, capisco che scorrano anche troppo velocemente, come faccio ad usarli al meglio? Da che punto potrei partire?
Potrei abbandonare tutto. Cambiare tutto. Reinventarmi.
Potrei continuare a testa bassa e a olio di gomiti in quello che faccio, solidamente attaccata al mio principio che lo sforzo ripaga.
Potrei ignorare tutto questo, questo caos che gravita in testa da mesi.
Oppure potrei rimettermi in discussione, che forse è la cosa piu sensata da fare.
Mi dico che siam tanti su terra a interrogarci quotidianamente, che ognuno ha il proprio inferno personale, un armadio chiuso che non svela a nessuno, un diario che brucerebbe piuttosto che far leggere, un passato che pesa.
Gli scheletri nell'armadio sono la mia passione ultimamente: parlare con persone conosciute e non, new entry della vita, grattare un pò più profondamente nel loro passato e cercarlo: lo scheletro, ma poi, perché chiamarlo cosi? Per me è una scatola, chiusa, sul fondo di un armadio, coperta da sciarpe, cappelli e cose poco usate. Una scatola che quasi ci dimentichiamo di avere, ma pesa.
Te ne accorgi quando ci si avvicina all'armadio: vedo subito una fragilità che appare sul volto della persona, un'ombra che passa sugli occhi. La voce esita, lo sguardo si abbassa, le mani si innervosiscono, le dita cercano qualcosa da triturare.
Non si parla della scatola, perché "non si fa" perché è pesantissima a volte, perché nessuno vuole dire davvere com'é.
Eppure quando lo facciamo sentiamo un peso che si solleva, ci sentiamo nudi, ma capiti.
Sull'orlo del baratro aspettiamo per vedere se l'altro ci ama ancora, se capisce, se sa, se giudica.
Fa paura aprire la scatola, sia essa piena di bugie, di meschinità umane, di azioni non fatte, di rimpianti, di rimorsi, di gesti violenti, di parole che non ci si puo piu rimangiare. Fa paura perché stiamo ammettendo che siamo peggio di quello che vorremmo essere. Che non siamo certi di noi stessi, che certe cose le rimpiangiamo, e ce ne pentiamo.
Chi ha una scatola di un certo peso riconosce subito chi come lui la tiene in fondo all'armadio.
Settimana scorsa ho scoperto la scatola di qualcuno di mai visto, e posso descrivere il momento in cui l'anta dell'armadio si è aperta e mi ha fatto sbirciare all'interno.

La rivedo davanti a me; si appoggia allo schienale della seggiola, esita, le mani giocano con la forchetta, sposta lo sguardo altrove, poi mi fissa, e mi dice di quanto suo padre sia stato importante..
Avevo 8 anni, mi racconta, eravamo in macchina, mio papà mi mette una mano sul ginocchio e mi dice "qualsiasi cosa succeda sappi che ti voglio bene" e io pensavo che volevo solo che la togliesse quella mano.
Lo potevo quasi toccare quel rimorso, quel rimpianto. Vent'anni dopo. Poi continua, con gli occhi quasi lucidi e mi racconta sprazzi di vita dagli 8 ai 33.
Sentire la fragilità delle persone, scoprirne segreti non raccontati fa capire quanto difficile sia scegliere, per il meglio, con sicurezza, una volta per tutte, quanto nessuno possa essere biasimato per le sue scelte.
Scoprire le ombre delle persone fa sentire meno soli, quando si scorgono lati nascosti di chi ostenta serenità  fa capire quanto valga la pena mettersi in discussione, quanto serva dire che "non so dove andare". Forse l'unica strada per trovare la strada è mettere da parte la cartina e ascoltare i viaggiatori, ignorare i lupi del bosco ed i sicuri di sé, quelli che "te la spiego io la vita".
Quelli poi, mi hanno sempre spaventato a morte.





mercoledì 22 ottobre 2014

Ode au belge

pourquoi écrire un post en italien pour la Belgique sans après le traduire pour les vrai destinataires?

et...soyez cléments avec mon français :)

Chaque fois que je lis une page d’un italien à l’étranger je vois souvent des critiques et une générale sens de supériorité.

Ça suffit critiquer les étranger qui nous accueillent, en disant qu’ils n’ont pas de bidet, qu’ils ne savent pas cuisiner comme nous, que nous les italiens on doit leur apprendre tout.


Après 4 ans je voudrais le dire et l’écrire : ode au belge !


  • Au belge que sur l’autoroute se rabat à droite pour te laisser passer sans t’obliger à le dépasser tout le temps
  • Au belge qui ne va pas dans le bar vip, mais sort en ville, habillé confortablement et va dans le vieux bar, celui de l’unif, celui de toujours, avec chaises et tabourets en bois, plein de noms et de signes, où il termine à 4h du mat, sur la table, en chantant sa meilleure version de « je t’emmène au vent » (moi première !), le même bar où il a passé ses meilleurs années, où il a vomi l’âme au moins 8 fois et peut-être il a même rencontré sa future femme.
  • Au belge qui n’attend pas une journée de plein soleil pour sortir caisses de bière et bbq, car l’important c’est profiter du moment sans se plaindre tout le temps d’un clima qui ne sera jamais stable.
  • Au belge qui bosse dur toute la semaine mais planifie ses week ends méticuleusement, en remplissant chaque minute du temps libre avec la famille, des « petits restos », des « promenades en amoureux », du sport, des blind tests et des annif, au point que pour l’avoir libre faut que tu lui demande l’agenda du mois d’après.
  • Au belge qui ne te traitera jamais avec supériorité mais qui, même s’il connait 3 langues, à la base, s’il a étudié, il a un BAC et un master +2, s’il connait l’anglais en ayant voyagé à droite et à gauche, malgré tout ça, il arrive encore à venir te trouver pour te dire que il est vraiment amoureux de l’Italie, malgré la cris, malgré beaucoup des problèmes, et que comme Rome, Vénice, la nourriture et les italiens il n’y a égal.
  • Au belge qui te demande si ton chez toi te manque, car il sait que, même si tu vis ici, ta maison est bien loin, et il sait aussi que vivre loin de chez soi n’est facile pour personne, encore moins pour un italien.
  • Au belge qui achète une maison tout jeune, fait des projets, s’applique, épargne, car l’état lui permet ça, et il se rend compte qu’il est beaucoup plus chanceux que beaucoup d’autres européens.
  • Au belge, et ici c’est mon vécu qui parle, au liégeois qui laisse que tu te moques de lui pour son « oufti » et son accent, mais qui après te paie une tournée de jupiler et il s’en fiche si jamais t’arriveras à faire la différence entre au-dessus en en dessous
  • Au liégeois qui, le dimanche, ne manque pas sur la batte, qui s’arrête souvent à s’acheter un « petit truc » italien
  • Au liégeois qui pour boire un verre va toujours à place du marché
  • Au liégeois qui ne raterait la foire d’octobre pour rien  au monde, et les couteaux de Liège non plus.
  • Au liégeois qui « boulet frites » a plus de valeur que n’importe quel plat du monde.

Pour ça et beaucoup plus que ça, je remercie ce pays qui a su m’accueillir sans jamais me faire sentir étrangère et une ville qui a su me faire sentir « comme chez moi », en me garantissant un future en m’ouvrant des portes inattendues. Pas beaucoup ont cette chance, faut pas que je l’oublie.

 

Bon « belgiversaire » à moi J
 
 

martedì 21 ottobre 2014

Ode al belga

Basta criticare gli stranieri che ci ospitano, dire che non hanno il bidet e non sanno cucinare come noi. Ogni volta che leggo pagine di italiani all'estero scopro critiche e senso di superiorità.

Dopo 4 anni voglio dirlo, e scriverlo: ode al belga!
  • al belga che in autostrada si sposta a destra anziché farti passare ogni volta in corsia di sorpasso
  • Al belga che non va nei bar fighetti, ma esce in centro, vestito comodo e va nel vecchio bar sgangherato, con tavoli e sgabelli in legno, pieni di incisioni, dove finisce alle 4 del mattino ballando sul tavolo, lo stesso bar nel quale andava da ragazzino, dove ha vomitato l'anima almeno 8 volte e magari, c'ha pure conosciuto la moglie.
  • Al belga che, appena scorge un raggio di sole, pallido o estivo che sia, tira fuori casse di birra e barbecue, perché l'importante è godersi il momento e non lamentarsi sempre del tempo ballerino.
  • Ode al belga  che programma con cura I suoi week end, lavorando come un mulo in settimana, ma riempiendo ogni minuto del fine settimana di famiglia, "petit resto", passeggiate "en amoureux", tennis, tanto che per averlo libero devi chiedergli l'agenda del mese dopo
  • Al belga che non ti tratterà mai con superiorità ma, pur conoscendo 3 lingue, di base, avendo studiato, parlando perfettamente inglese, avendo fatto viaggi a destra e a manca, ancora riesce a sedersi accanto a te e confessarti che è proprio innamorato dell'Italia, costi quello che costi, crisi o non crisi, del sole, di Roma e del gelato.
  • Al belga che ti chiede se ti manca casa, perché anche se sei qua, sa che casa tua è più lontana e sa che vivere lontano da casa non è facile.
  • Al belga che compra la casa giovane, fa progetti, si impegna, risparmia, perché lo stato glielo permette, e si rende conto di essere più fortunato di molti altri europei.
  • Al belga, e qua si entra nello specifico, all'abitante di Liegi, che si fa prendere in giro per l'accento, ma poi ti paga una tournée e non ti sfotte se ancora non sai la differenza tra au dessou en dessous..si insomma; quella roba li
  • Al "liégeois" che alla domenica va alla batte e si ferma sempre a comprarsi qualcosa di italiano
  • Al liégeois che per bere qualcosa va a place du marché
  • Al liégeois che non mancherebbe la foire d'ottobre per nulla al mondo e pure les couteaux de Liège del primo week end di ottobre
  • Al liégeois che boulet frites vale più di una fiorentina.
Per tutto questo, e molto altro, ringrazio di esser capitata qua, con gli alti e bassi che ci sono, in un paese, e soprattutto in una città, che non mi ha mai, in 4 anni, fatto sentire indesiderata o straniera, che mi ha aperto le porte e garantito un futuro. Non tutti hanno questa fortuna.

buon belgiversario a me :)
vista sulla Passerelle, domenica mattina


martedì 7 ottobre 2014

Di cosa profuma la casa?

Casa è dove il mio cuore batte più forte, questo ormai lo so.

Son a casa da sabato, mi sento mezza turista mezza varesina e non ne vengo mai fuori.

Ogni volta che torno mi sento divisa a metà, una parte di me è ormai un pò belga, diciamocelo, l'altra torna, riconosce i vecchi luoghi, cerca i vecchi amici, le vecchie abitudini, e si sente sé stessa.

Ieri ho incontrato una persona importante, una di quelle che avrebbe dovuto uscire di scena anni fa ma che invece è ancora li e che, più o meno, sa la mia storia.
Vederla mi ha ribaltato il cuore e lo stomaco, non per sentimenti contrastanti o altro, ma perché mi son aperta, dopo tanto silenzio e confusione, raccontando cosa vuol dire non essere a casa.

Fondamentalmente vuol dire che non ci sei: fare l'italiana all'estero è tutta questione di assenze, di momenti persi, affetti lontani, giornate non condivise. Il nocciolo lo si riassume facilmente.
Chi conta per te va avanti: ci son giornate belle, altre meno, problemi, novità, e tu non ci sei.
Perché? Perché hai scelto.
Le assenze non si recuperano, si subiscono e una parte di me sa che non è giusto, una parte di me vorrebbe tornare, recuperare il mio posto e andare avanti con accanto gli amici che contano, l'altra, più pragmatica, sa che non si fa, non ora.

Si vive lacerati quando si è via, e non son sicura di volerlo per il resto della mia vita.



martedì 9 settembre 2014

L'insostenibile leggerezza dell'estate che termina.


Oggi è una giornata di cacca, lasciatemelo dire.

Il tempo è orrido. Mi son svegliata presto, per portare il cane al parco e era autunno. Ieri faceva caldino, c’era un timido sole, oggi la stagione è cambiata, è bastata una notte.

Vorrei dirvi che l’autunno è bello in Belgio, evviva evviva, birra e foglie che cadono, ma no.

A me l’autunno qua deprime alla grande ; essendo il nord europa godiamo di mooooolta luce in estate ma  moooolta meno in autunno inverno. Le foglie cadono drasticamente, come i parrucchini dei vecchietti sotto la bora di Trieste, ed appunto ti svegli, manco te ne accorgi, apri la porta e ti fai investire da una folata di foglie morte.

Peró, c’é sempre un peró, Liège offre sempre angoli di paradiso per farti dimenticare le bruttezze del tempo belga ; è un pó questo che mi salva e che mi farà festeggiare il 18/10 i miei 4 anni belgi.

A settembre ci sono les fêtes de Wallonie, concerti ed eventi che durano per un paio di settimane in tutta la Vallonia, a Liegi arriverà Puggy (qua il programma : http://www.fetesdewallonie.be/ )

Ad ottobre inizia la fiera, una delle più grandi del paese credo, che dura dal 4 ottobre all’11 novembre

http://www.fete-foraine.be/fr/bon-reduction-korting/38/foire-d-octobre-liege e che porta luci, colori e soprattutto tantissime cose grasse e buone da mangiare, cosa alla quale non dico mai di no.

Settembre è, per me, il mese delle promesse ed il mese il cui invecchio.

Ogni settembre mi siedo a tavolino con me stessa e decido quel che sarà il programma del mio anno a venire : dove voglio andare ? Cosa voglio imparare ? Cosa migliorare ? Settembre è il moi capodanno anticipato, il mio mese dei buoni propositi e della motivazione, mi carico come un orsetto duracell e mi tuffo di testa nell’anno che arriva. Non importa che lunedi prossimo ne festeggeró 28 di anni, per me il calendario è sempre un pó quello scolastico, mi rassicura, scandisce bene le pagine della mia vita.

Il primo settembre mi son seduta al bar con me stessa, nella mia testa il bar ha la forma di un classico bar italiano, dove posso ordinare un macchiato caldo e godermelo con davanti le pagine del Corriere, e mi son chiesta dove volessi andare. Ho indagato un pó quest’anno, sento che la me che è stata e la me attuale son un pó in conflitto.

Andare via ? Cambiare ancora ? Restare ?Cambiare qua ? C’é un’allegra sarabanda nel mio cervello, il mese dei buoni propositi diventa un mese di introspezione, un foglio bianco da riempire di « to do », una strada da iniziare, ma non importa che nel mio cammino non sempre tutto sia chiaro, quel che conta è muovermi, la strada, son certa, si snoderà pian piano davanti a me.

Silvia, dal Belgio.

sabato 9 agosto 2014

Quando vai via

Quando vai via non sai se sarà per sempre o se ritornerai, un giorno, sui tuoi passi.
Mi ricordo come fosse ieri, la mattina nella quale ho varcato la soglia della porta di casa, saran state le 4 del mattino, del 18 ottobre 2010.
Destinazione, Malpensa.
Quando parti per mete sconosciute, tutte le fibre del tuo essere tendono verso il viaggio. Nulla ti tiene più dove sei, dove ormai eri, nulla ti permette di ricordare quello che lasci, mente e corpo son già là, dove stai andando.
Non importa quanto lungo sarà il viaggio, ti cresce un'energia dentro che ti farebbe fare qualsiasi tipo di sforzo pur di arrivare alla meta.
Quando son partita era cosi, ero cosi. Fibre e cuore, tutto che correva al mio imminente nuovo futuro.
Non sono, in fondo, lontano dalla mia casa. Dalla porta della mia casa belga a quella della mia casa di Varese, ci son 860 km, a volte paion migliaia, a volte non sembra mai abbastanza lontano.
Eppure neanche 1000km bastan a farti cambiare. In un'ora e mezza di volo ho perso tutto.
No, forse perso tutto non è giusto, ho messo da parte tutto: famiglia, amici, luoghi, ricordi, sogni, progetti. Tutto è rimasto li, cristallizzato, come nei fermi immagine dei film (ve lo state immaginando come sto facendo io?)
Ho chiuso, sbattendola, la porta dei miei 20 anni perché avevo la sete di chi corre in un deserto verso una bottiglia di acqua ghiacciata.
Mi son buttata a capofitto nella mia nuova vita, anima e corpo, lacrime e fiumi di inchiostro per imparare il francese, per trovare il mio "posto nel mondo".
Dopo 6 mesi, i più duri, ho iniziato a respirare. All'inizio sei un pesce rosso in un boccale, vedi gli altri, parlano, si divertono, e tu non riesci a comunicare.
Vorresti dire tanto, chi sei, perché sei li, chiedere di loro, ma ti manca..tutto per poterti esprimere.
Ho imparato a guardare con occhi nuovi, perché a volte parlare è proprio superfluo.
I primi mesi, mi ero data 3 mesi per capire se era il caso di restare, è tutto di una difficoltà immane, uscire a comprare il pane, andare a fare la spesa, comprare un biglietto del treno.
Ho fatto colloqui in agenzia quasi subito e poi il porta a porta: è cosi che ho trovato il mio primo lavoro come prof di italiano.
Pian piano poi, come in un puzzle, tutto va al suo posto.
Dal primo lavoro al secondo, poi al primo indeterminato, poi la decisione di lasciare questo "lui" che avrebbe dovuto essere il lui del "per sempre", la ricerca di un appartamento, nuove amicizie, nuove prospettive, l'acquisto di una casa, il cambio di lavoro e il nuovo contratto, firmato la settimana scorsa.
Tutto cambia, si cresce. Vivere all'estero non ti fa diventare più saggio, più intelligente, nè migliore di chi resta a casa. Se doveste dire una cosa che lo stare all'estero vi ha fatto imparare?
Per me è stato l'imparare a tacere. Quei primi 3/4 mesi di silenzio forzato ancora me li ricordo.
Si ascolta, si impara, tutto serve, e ci si rimette a posto.
Finita la superbia e la sicurezza di sé tipici di chi non ha mai varcato la soglia di casa per uscire dalla cosiddetta "zona di confort", ci si rimette enormemente in discussione e qua al nord europa c'é spazio per la rimessa in discussione, sotto tanti punti di vista. Ho imparato che l'Italia è amata ma noi a volte lo siam meno.
Essere italiana qua, per me, vuol dire portare un'invisibile bandiera sulla schiena, che mi obbliga a dare ogni giorno il meglio di me stessa, perché, non so voi, ma a essere all'estero ci si sente un pò unici rappresentanti del proprio paese.
Sento questo "dovere" di dimostrare che non siam tutta la merda che i giornali dicon di noi, che siam un popolo di gente fiera, gaia, che ha saputo ricostruire sulle macerie, che crede nella famiglia, un popolo solare, che ha perso un pò del suo brio, perché ce l'han tolto a forza di prese in giro e promesse non mantenute.
Siam un popolo che abita in uno dei posti più belli del mondo, invidiati in tanto, scherniti troppo spesso.
Partire vuol dire lasciare, cambiare, crescere, come dicevo.
Ma partire, per me, non vuol dire dimenticare chi sono. Non si parte per dimenticarsi, io son partita per ritrovarmi. Se avessi dimenticato chi sono non avrei mai potuto percorrere tutto questo cammino; ho avuto bisogno di radici solide e ricordi vividi a scaldarmi quando niente, qua, mi ricordava le cose belle di casa.
So che siamo tante li fuori, sparse ovunque, leggo spesso le vostre storie :)
Ricordatevi di non perdervi, di non dimenticarvi. Lontane siam tutte legate agli stessi colori, alle stesse tradizioni; lontane siam tutte unite dallo stesso amore per la terra che un pò ci ha fatto fuggire, un pò ci manca.
Sicuramente non tutte condivideranno l'idea, ma stasera ho avuto proprio bisogno di sedermi un attimo per condividere questo pensiero con voi e sentirmi un pò meno sola.
Buonanotte :)





sabato 26 luglio 2014

Dove stiamo andando?

Oggi mi trovo, dopo anni, su una freccia bianca, destinazione Milano centrale.  Per una volta ho tutto il tempo di godermi il panorama, ascoltare musica e leggere il giornale.
Ecco, mi chiedo se il punto del giornale non avrei potuto evitarlo.
Dopo aver chiuso l ultima pagina del corriere son stata presa dallo sconforto, come avrebbe potuto essere altrimenti?
Tralasciando le guerre, gli odi, gli aerei che si disintegrano e il resto delle miserie umane, mi son trovata a leggere delle nostre miserie nazionali e due articoli diametralmente opposti mi hanno colpito: il tar ha impedito al politecnico di Milano di organizzare corsi solo in inglese per il prossimo anno accademico, il bike sharing sarà probabilmente soppresso per i troppi e ripetuti atti di vandalismo (leggi:fottono le ruote alle bici).
Niente di nuovo sul fronte italiano, vero? Carne trita e ritrita, che non ci stupisce neanche più.  Perché?
Perché lo liquidi amo dicendo che siam in Italia, che ti aspetti?", chi c'è l ha insegnato a svilirci così? Perché ciascuno di noi non si ferma, chiedendosi cosa può fare lui per il suo paese e non sempre il contrario?
So che c é gente la fuori che lo vuole cambiare il paese, poi ci son quelli a cui non frega niente e continuan a fare i furbetti nelle file, a parcheggiare in seconda fila, a rubare le ruote delle bici, a non voler parlare altro che italiano, a dire che noi siamo i migliori al mondo, c abbiamo mica bisogno di imparare de quei beceri tedeschi/inglesi/francesi punzoni, poi ci son quelli che partono, come me, che supportano sempre il loro paese, parlandone con orgoglio, ma che una volta tornati a casa non san più da che parte iniziare.
Ho bisogno di credere e di sapere che ci son degli illuminati in questo decadimento italiano, che non si lasciano affondare dal globale pessimismo cosmico, ma ogni giorno pensano a cosa si può fare per rimettere in carreggiata il nostro amato stivale.

lunedì 7 luglio 2014

New York




















Non è un segreto per nessuno che il mio sogno, mezzo nel cassetto mezzo fuori, sarebbe di diventare fotografa.
Penso di aver fatto la mia prima foto centrata quando avevo 4/5 anni, e da li non ho più smesso.
Mi manca tecnica, tempo per studiare, ma non mi manca la passione, questo è certo!
Dopo una piccola vacanza post esami a New York mi son lanciata nel fantastico mondo del programma di fotoritocco e ho migliorato un pò la selezione di foto fatte..
A voi giudicare :)

































domenica 22 giugno 2014

Liège, la città ardente

Liège, la cité ardente, la chiamano cosi.

Se avessi solo poche righe per raccontarvela, vi direi innanzitutto che è una città divisa in due dalla Mosa, prima cosa che si impara vivendoci, e che questa divisione crea due identità totalemente diverse: la città e la parte oltre la mosa, l'otremeuse, che è una vera isola nella città. Si chiama per esteso République Libre D'Outre-meuse, riporto qui la storia della leggenda raccontata sul sito:

http://www.tchantches.eu/index.php/legende-de-tchantches 

Tchantchès, i fatti son totalmente anacronistici, sarebbe nato in oeutre-meuse in modo miracoloso, il 25/08/760, quella che oggi si chiama Repubblica Libera d'Outre-Meuse.
Dalla nascita, appena fu trovato dalla gente del luogo, lo si poteva già sentir cantare: "Allons, la mère Gaspard, encore un verre !". 
Fu un bebé ingordo, che non smetteva mai di ridere, ma la sola cosa per la quale faceva il muso era la vista dell'acqua, per addolcirlo, suo padre gli faceva mangiare un biscotto pucciato nel peket, cosa che lo lasciava assetato per tutti i giorni a seguire.

 Come tutti coloro che son destinati a fare grandi cose, Tchantchès, iniziò la sua vita con una bella botta sul naso presa alla fonte sacra della chiesa, cosa che gli fece crescere il naso a dismisura, cosi tanto da renderlo ridicolo e da farne il soggetto preferito delle maschere di carnevale. 
Successivamente a causa della rosolia, fu obbligato a bere dell'acqua con del ferro dentro, e cosi facendo fini per ingoiare un pezzo di ferro di cavallo che gli rimase a vita incastrato in gola; ecco perché Tchantchès è da allora capace di guardare solo a destra e a sinistra, e per guardare il cielo doveva mettersi a pancia in su, per guardare invece per terra doveva stendersi al suolo.
A causa del suo naso da Cirano, gli ci vorrà del tempo per convincersi a uscire di casa, ma quando lo farà, parteciperà ad una processione in qualità di Saint-Macrawe, vestito con una barba nera e issato su una sedia per fare il giro del quartiere.
Il risultato fu talmente positivo, e il suo animo gentile cosi apprezzato, che ben presto venne soprannominato in vallone
"Prince di Dju d'là Mouse", ovvero principe d'oltre mosa.


Un giorno, mentre camminava sul bordo del fiume, incontrò il vescovo Turpin e Roland, nipote di Carlomagno. Il vescovo stava rimproverando Roland per gli scarsi risultati in latino quando Tchantchès, irriverente come al solito, intervenne nella conversazione.

"Oui, Seigneur Chevalier Roland, le latin ne sert à rien du tout, mais est très utile quand même". 

"Quel est ce manant ?" chiede Roland. 
"Tchantchès, Prince de Dju d'là, pour vous servir Seigneur Chevalier" . 
Il vescovo guardò il ragazzo con compiacenza : "Et bien, Tchantchès, je vais te présenter céans au grand Empereur Charlemagne, tu serviras dorénavant de compagnon à son neveu Roland".
E fu cosi che Tchantchès divenne l'accompagnatore di Roland, nipote di Carlomagno, e fece il suo ingresso a corte. Gli fu inseparabile, notte e  giorno insieme, caratterizzando la sua vita con episodi pittoreschi e frasi memorabili.
Con lui tutte le battaglie erano vinte, ma fu un episodio che ne segnò la sconfitta: si addormentò prima di una battaglia che fu poi persa.
A causa di questa disavventura Tchantchès decise di tornare a Liège, dove visse i suoi ultimi anni. Morì a 40 anni, solo, senza essersi mai sposato.
Tchantchès resta l'emblema del vero Liègeois, testone, sbeffeggiatore, che canta a gola spiegata, nemico delle grandi cerimonie fastose, indipendente ma con un grande cuore d'oro, pronto ad infiammarsi per le cause nobili.

Perchè venire a Liegi? Per i suoi colori di notte, per i suoi bar, la sua musica, il suo buon umore, per tanto altro che non può semplicemente essere raccontato in qualche riga.
Mi ci vorrà sicuramente qualche post in più :)
Nella foto il ponte di Fragné, fotografato questo giovedi sera.


lunedì 9 giugno 2014

Un lunedi festivo in Belgio

Il barbecue è l'essenza del giorno festivo in Belgio, o quanto meno di Liegi.(e poveri animali che ancora a sti qua non gli facciam cambiare idea sulla carne)

Per chi come me arriva da un paese dove fa spesso caldo, tanto caldo, è divertente vedere come una giornata di sole viene attesa, programmata e vissuta appieno quassù

Si inizia con la meteo; la si studia dal lunedi più o meno, e nel corso della settimana ne si verifica l'attendibilità. Si continua con i piani di metà settimana; che fare?

Come sfruttare al meglio un giorno di sole? Nulla va sprecato, tutto deve essere deciso in modo che si arrivi alla sera cotti ma stanchi.

La crew: qua si fa tanto in famiglia, benché divorzi e tradimenti sian all'ordine del giorno come lo sono da noi, si fanno tante attività in famiglia, chi ne ha una grande se la tiene stretta, i figli son sempre minimo 2, anche perché gli aiuti statali sono cospicui.
Chi invece, come me, è all'estero, cerca una famiglia negli amici e nel ragazzo e con loro si condividono i week end di sole, e non. Il fattore X:l'imprevedibilità del tempo. Nulla è certo qua; farà bello, dicono.

Poi piove alle 12 con il sole e il bbq che si prepara sul fuoco, poi si passa a 34 gradi (sempre come oggi) e alle 18.57 (ora del mio post), già sentono i tuoni in lontananza.

La giornata: è divertente vedere come il giorno X tutti i supermercati son pieni all'alba; e quelli che stan programmando di mangiare all'aperto li riconosci subito: baguette, prosciutto, formaggio, boudin blanc (una specie di salsiccia bianca fatta di carne compressata insieme), e cassa di birra, immancabile la Jupiler qua.

Lo svolgimento: la fiera del polpaccio bianco, ma ancor più, delle schiene rosse alla sera. Si beve, tanto e comunque, e si festeggia, con gli occhi al cielo ogni ora perché questo sole ininterrotto sembra una benedizione.

Noi italiani lo bramiamo, lo attendiamo e ne approfittiamo pure per lamentarci che "stotempodimerdadelbelgio", poi però, dato che non siam più abituati, siam i primi a scottarci :)

 I paesi del nord ti fanno apprezzare le piccole cose, in Italia avrei rognato perché con il caldo sudo e mi si appiccica tutto, qui attendo con loro che faccia bello la mattina per correre a aprire le finestre, far passare aria ovunque e progettare la mia preziosa giornata soleggiata, ci si gode gli amici, ci si sente in pace col mondo e si dimentica per un pò, la lontananza da casa.

domenica 8 giugno 2014

Cosa fare a giugno a Liegi

Cosa fare a giugno a Liegi?

Direi che c'é solo l'imbarazzo della scelta!
Questo week end in particolare era pieno di cose da vedere,mangiare, e bere soprattutto!

Dal 5 al 9, vicino alla piazza più grande di Liegi, piazza Saint Lambert, c'è un villaggio che si chiama "les epicuriales", esce un pò dal contesto classico di villaggi estivi di liegi, perchè ritrovo, come ogni anno, quella clientela un pò snob, tirata a lucido, che fa tanto Italia.
Il tema degli epicuriales, è generalmente incentrato sull'alta cucina, francese, belga, ma non solo.
Abbiam preso due antipasti in uno stand di un ristorante brasiliano presente in città, si paga in gettoni, ma i gettoni anche se colorati non ti fan certo dimenticare che..non è tra gli eventi più economici dell'anno.

Per un antipasto con scampi in salsa piccante e un altro di coquilles saint jacques innaffiate da..acqua frizzante e coca cola ne siam usciti con 13 gettoni in meno, ergo..26 euro.
Ma la musica carina, la gente tanta, quel non so che di esotico del ristorante brasiliano, il sole che oggi finalmente era bello presente, ci han fatto dimenticare in fretta il conto.
Giusto accanto, letteralmente dall'altra parte della strada, c'era il Liège beer lovers festival, è la prima volta che si organizza a Liegi un festival simile, c'erano più di 20 brasserie diverse, locali, regionali e non, a presentare le loro birre. Dato che, tra un bicchiere di champagne e una birra fresca, a me servon solo 2 secondi per scegliere, non ce lo siam fatti dire due volte e ci siam fermati allo stand della Curtius, birra belga fatta giusto a poche centinaia di metri dal centro. Il gusto è fresco, la birra leggera, e fa pensare un pò alla Hoegaarden blanche, per chi ne ha provata una.

I prezzi al festival della birra eran molto più ragionevoli, nessun bicchiere di plastica, ma solo piccoli in vetro con cauzione di 1 € (l'ambiente ringrazia), per quest'anno niente da mangiare, ma son certa che l'anno prossimo si saran già organizzati con assaggi di formaggi e salumi vari.
Per finire, da venerdi, le scale della Montagna di Bueren sono ricoperte di fiori che rappresentano varie forme; api, fiori, nuvole e per finire, in cima, il sole.
La montagna prende il nome da un nobile vissuto tra il 1440 e il 1505 Vincent de Bueren, che lottò fin alla fine per proteggere Liegi dall'assalto del duca di Borgogna.
La scala che porta al parco della Cittadelle è composta da 374 gradini, con panchine nel mezzo per chi rischia l'infartino da "performance finto sportiva", tipo me nei giorni migliori.
In cima la vista merita la faticaccia.

Si vede Liegi, divisa in due dalla Mosa, da una parte tutti tetti diseguali e in outremeuse, si vedono palazzoni vecchi e nuovi che si affacciano sull'acqua, la cité administrative e il ponte degli archi che collega "l'oltre la mosa" con la piazza saint Lambert.
Dopo 3 anni, quasi 4 è un profilo che conosco, che pian piano mi è diventato familiare e che ho imparato a amare, non come si ama casa, ma come si ama chi ha saputo accoglierti a braccia aperte, darti lavoro e offrirti un nuovo inizio.
Ho fatto qualche foto, per darvi un'idea.
Buon inizio settimana a tutti!