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venerdì 6 dicembre 2013

questa ruota che non gira.

http://www.corriere.it/economia/13_dicembre_06/censis-italiani-sciapi-infelici-cerca-connettivita-sociale-9cf650f4-5e48-11e3-aee7-1683485977a2.shtml

SCIAPI E INFELICI - Siamo anche una «società sciapa e infelice» secondo il Censis «senza fermento e dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso, crescente evasione fiscale, disinteresse per le tematiche di governo del sistema, passiva accettazione della impressiva comunicazione di massa». Di conseguenza siamo anche «infelici, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali». A giudizio dei ricercatori del Censis si sarebbe «rotto il “grande lago della cetomedizzazione”, storico perno della agiatezza e della coesione sociale. Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, che non viene da motivi identitari, ma dalla crisi delle precedenti collocazioni sociali di individui e ceti». Quando leggo questi articoli disfattisti, probabilmente veri, ma estremamente negativi, mi sale una rabbia incontenibile, come se le persone che scrivessero non facessero parte del nostro stesso paese. Puntare il dito e dire che siamo infelici, ma nessuno che offra soluzioni; non credo alle soluzioni pre-confezionate, ma credo nell'ottimismo. Sono la sola? Quanti pensano che spetti ad ognuno di noi cambiare le cose? Quanti invece sono convinti che l'aiuto debba arrivare dall'esterno? Facciamo un esempio che tocca tutti: c’è carenza di lavoro. Non serve neanche un punto di domanda, perché c’è carenza di lavoro. Cosa fare? Opzione 1:Aspettare che lo stato e le imprese si mobilitino per riattivare l’economia. Opzione 2: ovvio, aspettare che il governo faccia “qualcosa” ma al tempo stesso rimettersi in questione. Chi ha pensato di perdere 5 minuti a leggere l’articolo che ho pubblicato all’inizio del blog, sa che ho sempre fatto del mio meglio per trovare lavoro, che avesse o meno a che fare con i miei studi e questo perché tutti abbiamo delle bollete da pagare, credo. Sono la prima a dire che bisognerebbe poter fare il lavoro dei sogni, quello per cui si ha studiato, ma la realtà non coincide con quello che a volte si desidera, e non sto parlando di gettare la spugna. È demotivante, triste, frustante, angosciante, cercare lavoro e non trovarlo, l’ho fatto, l’abbbiam fatto tutti, ma ancora di più è sedersi sulla sedia tutto il giorno,cercare e sapere che a livello di crescita personale non si sta facendo niente. Questo mi riporta al principio iniziale, mettersi in gioco: non basta sperare che qualcuno faccia qualcosa per noi, se non siamo noi a farlo in primis per noi stessi e il”cosa” fare puó essere vario: nell’ambito della traduzione, il mio, parlo di proporsi a ONG per fare traduzioni, acquisire esperienza, seppure gratuita, arricchire il proprio CV; un mio insegnante una volta ci aveva detto “non dimenticatevi che il lavoro c’é, ma ormai con la crisi non lavorano + tutti, ma chi da il meglio, chi offre il meglio, chi non smette mai di imparare”. Non si smette mai di imparare, e non bisogna mai smettere di imparare, spingersi oltre, essere migliori. Non sono solo i migliori che avanzano, ma gli sforzi possono spesso trovare una ricompensa, ne sono fermamente convinta. Sfatiamo il mito dell’italiano demotivato, rimettersi in gioco è la chiave di molte cose, e fare quello che si fa con il massimo dell’impegno. L’ultima frase mi fa sempre pensare alle “sandwicheries” che ci sono qua in Belgio: i paninari con il negozio, in breve. Già dirlo in italiano sembra sprezzante: “paninari”, ma molti di loro cominciano con niente e finiscono con una mini catena di negozi, con la fila fuori dalla porta a mezzogiorno, non sono manager, ma credono in quello che fanno e lo fanno bene. A volte non serve un titolo, un riconoscimento, ma fare ció che si fa e farlo al meglio, perché non prenderlo come spunto per iniziare a far girare questa ruota nel nostro verso?

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